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domenica 27 settembre 2015

EFT per rispondere alle esigenze dei figli.




immagini di Emanuela Pamio




Rispondere alle esigenze dei figli

Non necessariamente rispondere alle esigenze dei figli significa rispondere ai figli.
Sono due cose diverse, anche se nella maggior parte dei casi coincidono.

A volte ci si può permettere di essere “assenti” se si vede che c’è spazio di manovra e il bimbo può sperimentare le proprie capacità, allora non lo chiamerei essere assenti ma “distratti”.
Oppure si attua la “tecnica del bruco” prendendo in prestito il personaggio di Alice nel paese delle meraviglie: si comincia a parlare in modo sconnesso, poco chiaro, e il bimbo o meglio il ragazzino, perché penso alla fascia di età di bambini più grandini che abbiano già una certa esperienza, si rompe di ascoltare e prende la sua decisione da solo.
Questa tecnica, molto spesso, la usiamo senza rendercene conto, ma la usiamo troppo e la cosa finisce per ritorcersi contro di noi…il ragazzino perde mano a mano la fiducia verso di noi, verso la possibilità di essere ascoltato o avere da noi un riscontro reale dei suoi problemi.
Quanti di noi vorrebbero davvero ascoltare qualcuno che ci propina una serie di spiegazioni morali e non ci ascolta?
Quanti di noi, nel momento in cui sbagliano, sanno già di aver sbagliato? Di cosa sentiamo il bisogno in quel momento? Di sentirci dire cose che sappiamo già o magari abbiamo bisogno di un riscontro sulle nostre sensazioni e di capire come mai abbiamo scelto una cosa piuttosto che un’altra?
Quanti di noi vorrebbero comunque sentirsi accettati?

Come dite? non sbagliate mai?
Allora una cosa la sbagliate di sicuro...

Il non sbagliare mai implica un controllo sulla propria vita che è a mio avviso innaturale.
La pretesa di non sbagliare mai implica che c’è un controllo a monte sulla propria persona che forse non lascia spazio al proprio istinto, alla propria spontaneità, alla propria corporeità.

In realtà sbagliare è parte della vita….noi non saremmo dove siamo ora se non avessimo fatto degli sbagli che ci hanno insegnato che forse la direzione non era quella.
Perciò dobbiamo ritenere lo sbaglio un passaggio quasi obbligato, anche per conoscere sé stessi.
Non possiamo dire di conoscerci se non sappiamo come reagiamo in certe situazioni.

Certo ci sono sbagli e sbagli…ci sono sbagli che hanno conseguenze devastanti perciò non possiamo permetterci di farli, né con leggerezza né con la prospettiva di allenarci, di provare…
Ma se non abbiamo toccato con mano almeno in parte le conseguenze, se non abbiamo introiettato cosa può succedere, è possibile che ci capiti di provare un’esperienza similare, perché (mettiamocela via) il nostro essere, ha fame di esperienza e il bisogno si attenua solo flebilmente con l’età, in realtà se una persona non ha fatto una determinata esperienza e non ha assimilato delle comprensioni nella propria vita, tenderà anche a 90 anni a fare gli stessi errori, non è qualcosa che si risolve con la razionalità, con la forza di volontà, ( anche se può aiutare), è qualcosa di corporeo che riguarda l’istinto, le emozioni e gli affetti, e la comprensione di tutto questo deve passare necessariamente per altri canali: corporei, emotivi, emozionali, esperienziali.


Per fortuna il nostro cervello è dotato di un’ampia capacità di astrazione perciò non ci serve darci una martellata con tutti i martelli che abbiamo in casa per capire che ci si fa male, uno basta e avanza…magari ci basta anche solo un oggetto pesante che cade sull’alluce e siamo vaccinati a vita sugli urti a tutte le parti del corpo.

Quindi gli sbagli fanno parte della modalità di apprendere dell’essere umano…e allora perché a volte ci arrabbiamo tanto?
Sembra quasi che ci crolli il mondo addosso.
A volte come adulti avremmo dovuto prevedere delle conseguenze e non l’abbiamo fatto?
Non ci siamo sentiti ascoltati da nostro figlio?
Non conosciamo modalità di intervento per fermare le situazioni potenzialmente pericolose o pensiamo che tutta la responsabilità debba ricadere sul figlio?
Anche i nostri genitori si arrabbiavano con noi perciò è una cosa automatica pensare che ci si debba arrabbiare?
Pensiamo che nostro figlio sia un incapace?



La responsabilità di un figlio all’interno di una situazione potenzialmente pericolosa è quasi pari a 0.
Un figlio non ha idea di tutto ciò a cui possono portare una serie di azioni, e quando pensiamo che ne debba avere idea perché lo ha già fatto, non dobbiamo dimenticare che è un piccolo scienziato e il metodo scientifico di provare un’azione e ottenere il medesimo risultato è per lui una cosa importante (purtroppo per noi!).
Certo…la percentuale di responsabilità ovviamente aumenta con l’età e mano a mano che crescono devono essere aiutati ad accettare quella piccola responsabilità che compete loro.
E’ una piccola forma di violenza pretendere che si comportino subito da adulti e che si prendano responsabilità che nemmeno noi ci prendiamo…come ad esempio tenere il controllo delle proprie emozioni.
C’è qualcosa che stona quando il genitore si sente in diritto di urlare e il figlio viene incolpato di non essere un piccolo Lord, a voi non sembra?

Quando un bimbo sbaglia dobbiamo prima guardare le nostre responsabilità, cercare di ammettercele, e abbracciarci, riusciremo in questo modo ad abbassare il livello di rabbia che ci portiamo addosso, e poi possiamo essere costruttivi e pensare cosa potessimo fermare, cosa potevamo spostare, come potevamo agire per evitare tutto ciò?
Perché anche noi dobbiamo accettarci, e per evitare sbagli in futuro imparare da essi.


Rispondere alle esigenze dei figli quindi implica un lavoro emotivo che facciamo continuamente senza quasi renderci conto che include il capire di volta in volta i propri limiti, ossia quello che riusciamo ad accettare, quello che non riusciamo, e le possibilità di apertura.
Se quello che chiedono i figli rientra nel nostro spettro di esperienze conosciute, accettate o comunque possibili, la cosa non ci sposta, magari valutiamo, poniamo dei paletti entro i quali rimanere, e ci sentiamo pure soddisfatti di come riusciamo a gestire la situazione…
Abbiamo ragione di esserlo.

Spesso però tutto crolla quando il bimbo ha delle impellenze emotive a cui noi non sappiamo far fronte: chiede le cose con modalità cavernicole, magari urlando, magari rotolandosi, oppure agendo in modo secondo noi illogico, spropositato, assurdo e insulso.

La buona notizia è che tutto ciò è molto soggettivo, nel mio imparare dalle altre mamme vedo questa cosa, e atteggiamenti che per me rientrano assolutamente nei canoni infantili, vengono percepiti da alcune mamme come inaccettabili…visceralmente inaccettabili, e atteggiamenti che a me mettono allerta, ad altre mamme non spostano nulla.

Quello che come persone dobbiamo capire per rispondere davvero alle esigenze dei nostri figli è che se siamo abituati ad accettare gli atteggiamenti di un bambino che rientrano in parametri da A a B, rischiamo di non riuscire a classificare e quindi trovare le emozioni che stanno dietro a comportamenti C o D e pure fino alla Z.

Perciò per rispondere alle esigenze dei figli bisogna cominciare a domandarsi…che emozioni, che bisogni ci sono dietro a questo comportamento? Cosa non sono in grado di vedere?
Resta chiaro che bisogni ce ne sono sempre, ma a volte non serve andare tanto lontano, sono soprattutto bisogni di essere visti come persone, di essere nutriti dalla relazione affettiva, bisogni di corrispondenza, oltre ai normali bisogni fisici.

E’ importante confrontarsi con altre persone, con altre mamme o con operatrici per avere un riscontro di ciò che non riusciamo a vedere, del bambino che non riusciamo più a riconoscere.
Magari perché nessuno ci ha mai insegnato che un bambino può avere anche comportamenti C o D ed essere accettato lo stesso, magari anche noi abbiamo avuto comportamenti C o D e ci hanno insegnato che non eravamo accettabili.

Quante volte ho sentito dire: “Piangi come una femminuccia!”, “Non fare il pagliaccio”, “non essere illogico”, persino la frase “non sudare” nasconde una non accettazione (a parte il fatto che mi risulta ancora incomprensibile come faccia un bambino a tenere sotto controllo il suo sudore.)

Con “accettare” non intendo lasciare che tutto passi senza dire ba, ma l’accettazione passa attraverso il vedere il bambino che abbiamo di fronte e le sue esigenze, il suo bisogno di crescere e di sapere che sebbene condividiamo con lui che c’è stato uno sbaglio, sebbene concordiamo con lui un modo per risolvere le conseguenze dello sbaglio, staremo al suo fianco e lo ameremo ancora perché sappiamo che l’errore fa parte della vita.
“Accettare” vuol dire vedere davvero il bambino che abbiamo di fronte, andare oltre le definizioni di “pagliaccio”, “distratto”, “musone”, “lamentoso”.
Vuol dire anche arrendersi alle aspettative che ci portiamo dietro di avere un figlio con determinate caratteristiche.

La legge di Murphy per le mamme recita che desiderare un certo comportamento per il proprio figlio porta solo ad avere il comportamento contrario.

In realtà non so se smettere di desiderare porti ad avere l’atteggiamento che vogliamo, ma sicuramente ci darà la possibilità di scoprire atteggiamenti in nostro figlio che non avevamo notato, e chissà forse ci sembreranno persino meglio dell’atteggiamento a cui ci siamo rassegnate.



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Non ho molto da aggiungere alle parole di Emanuela, se non per invitarvi 

a vedere questo video su EFT per rispondere alle esigenze dei figli:


http://youtu.be/7ybKEQ5cGrU


e a leggere il nostro libro di recente e fresca stampa,  MamMa o non MAmma ...

E' un libro che unisce il sapere delle doule a suggerimenti di tecniche energetiche per accompagnare il periodo di vita delle donne e di chi le circonda, da prima del concepimento ai primi 18 mesi di vita del bambino.

Perciò se siete mamme o volete diventarlo, se conoscete mamme in attesa o neo mamme potete prenotare una copia. Il costo del libro è 15 euro a copia. Se desiderate l’e book invece lo potete ordinare in formato pdf a 8 euro.
 
 
 
Emanuela Pamio e Virna Trivellato
 

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