Rispondere alle esigenze
dei figli
Non
necessariamente rispondere alle esigenze dei figli significa rispondere ai
figli.
Sono
due cose diverse, anche se nella maggior parte dei casi coincidono.
A
volte ci si può permettere di essere “assenti” se si vede che c’è spazio di
manovra e il bimbo può sperimentare le proprie capacità, allora non lo
chiamerei essere assenti ma “distratti”.
Oppure
si attua la “tecnica del bruco” prendendo in prestito il personaggio di Alice
nel paese delle meraviglie: si comincia a parlare in modo sconnesso, poco
chiaro, e il bimbo o meglio il ragazzino, perché penso alla fascia di età di
bambini più grandini che abbiano già una certa esperienza, si rompe di
ascoltare e prende la sua decisione da solo.
Questa
tecnica, molto spesso, la usiamo senza rendercene conto, ma la usiamo troppo e
la cosa finisce per ritorcersi contro di noi…il ragazzino perde mano a mano la
fiducia verso di noi, verso la possibilità di essere ascoltato o avere da noi
un riscontro reale dei suoi problemi.
Quanti
di noi vorrebbero davvero ascoltare qualcuno che ci propina una serie di
spiegazioni morali e non ci ascolta?
Quanti
di noi, nel momento in cui sbagliano, sanno già di aver sbagliato? Di cosa
sentiamo il bisogno in quel momento? Di sentirci dire cose che sappiamo già o
magari abbiamo bisogno di un riscontro sulle nostre sensazioni e di capire come
mai abbiamo scelto una cosa piuttosto che un’altra?
Quanti
di noi vorrebbero comunque sentirsi accettati?
Come
dite? non sbagliate mai?
Allora
una cosa la sbagliate di sicuro...
Il
non sbagliare mai implica un controllo sulla propria vita che è a mio avviso
innaturale.
La
pretesa di non sbagliare mai implica che c’è un controllo a monte sulla propria
persona che forse non lascia spazio al proprio istinto, alla propria
spontaneità, alla propria corporeità.
In
realtà sbagliare è parte della vita….noi non saremmo dove siamo ora se non
avessimo fatto degli sbagli che ci hanno insegnato che forse la direzione non
era quella.
Perciò dobbiamo ritenere lo sbaglio un passaggio
quasi obbligato, anche per conoscere sé stessi.
Non
possiamo dire di conoscerci se non sappiamo come reagiamo in certe situazioni.
Certo
ci sono sbagli e sbagli…ci sono sbagli che hanno conseguenze devastanti perciò
non possiamo permetterci di farli, né con leggerezza né con la prospettiva di
allenarci, di provare…
Ma
se non abbiamo toccato con mano almeno in parte le conseguenze, se non abbiamo
introiettato cosa può succedere, è possibile che ci capiti di provare un’esperienza
similare, perché (mettiamocela via) il nostro essere, ha fame di esperienza e
il bisogno si attenua solo flebilmente con l’età, in realtà se una persona non
ha fatto una determinata esperienza e non ha assimilato delle comprensioni
nella propria vita, tenderà anche a 90 anni a fare gli stessi errori, non è
qualcosa che si risolve con la razionalità, con la forza di volontà, ( anche se
può aiutare), è qualcosa di corporeo che riguarda l’istinto, le emozioni e gli
affetti, e la comprensione di tutto questo deve passare necessariamente per
altri canali: corporei, emotivi, emozionali, esperienziali.
Per
fortuna il nostro cervello è dotato di un’ampia capacità di astrazione perciò
non ci serve darci una martellata con tutti i martelli che abbiamo in casa per
capire che ci si fa male, uno basta e avanza…magari ci basta anche solo un
oggetto pesante che cade sull’alluce e siamo vaccinati a vita sugli urti a
tutte le parti del corpo.
Quindi
gli sbagli fanno parte della modalità di apprendere dell’essere umano…e allora
perché a volte ci arrabbiamo tanto?
Sembra
quasi che ci crolli il mondo addosso.
A
volte come adulti avremmo dovuto prevedere delle conseguenze e non l’abbiamo
fatto?
Non
ci siamo sentiti ascoltati da nostro figlio?
Non
conosciamo modalità di intervento per fermare le situazioni potenzialmente
pericolose o pensiamo che tutta la responsabilità debba ricadere sul figlio?
Anche
i nostri genitori si arrabbiavano con noi perciò è una cosa automatica pensare
che ci si debba arrabbiare?
Pensiamo
che nostro figlio sia un incapace?
La
responsabilità di un figlio all’interno di una situazione potenzialmente
pericolosa è quasi pari a 0.
Un
figlio non ha idea di tutto ciò a cui possono portare una serie di azioni, e
quando pensiamo che ne debba avere idea perché lo ha già fatto, non dobbiamo
dimenticare che è un piccolo scienziato e il metodo scientifico di provare un’azione
e ottenere il medesimo risultato è per lui una cosa importante (purtroppo per
noi!).
Certo…la
percentuale di responsabilità ovviamente aumenta con l’età e mano a mano che
crescono devono essere aiutati ad accettare quella piccola responsabilità che
compete loro.
E’
una piccola forma di violenza pretendere che si comportino subito da adulti e
che si prendano responsabilità che nemmeno noi ci prendiamo…come ad esempio
tenere il controllo delle proprie emozioni.
C’è
qualcosa che stona quando il genitore si sente in diritto di urlare e il figlio
viene incolpato di non essere un piccolo Lord, a voi non sembra?
Quando
un bimbo sbaglia dobbiamo prima guardare le nostre responsabilità, cercare di ammettercele,
e abbracciarci, riusciremo in questo modo ad abbassare il livello di rabbia che
ci portiamo addosso, e poi possiamo essere costruttivi e pensare cosa potessimo
fermare, cosa potevamo spostare, come potevamo agire per evitare tutto ciò?
Perché
anche noi dobbiamo accettarci, e per evitare sbagli in futuro imparare da essi.
Rispondere
alle esigenze dei figli quindi implica un lavoro emotivo che facciamo
continuamente senza quasi renderci conto che include il capire di volta in
volta i propri limiti, ossia quello che riusciamo ad accettare, quello che non
riusciamo, e le possibilità di apertura.
Se
quello che chiedono i figli rientra nel nostro spettro di esperienze conosciute,
accettate o comunque possibili, la cosa non ci sposta, magari valutiamo,
poniamo dei paletti entro i quali rimanere, e ci sentiamo pure soddisfatti di
come riusciamo a gestire la situazione…
Abbiamo
ragione di esserlo.
Spesso
però tutto crolla quando il bimbo ha delle impellenze emotive a cui noi non
sappiamo far fronte: chiede le cose con modalità cavernicole, magari urlando,
magari rotolandosi, oppure agendo in modo secondo noi illogico, spropositato,
assurdo e insulso.
La
buona notizia è che tutto ciò è molto soggettivo, nel mio imparare dalle altre
mamme vedo questa cosa, e atteggiamenti che per me rientrano assolutamente nei
canoni infantili, vengono percepiti da alcune mamme come
inaccettabili…visceralmente inaccettabili, e atteggiamenti che a me mettono
allerta, ad altre mamme non spostano nulla.
Quello
che come persone dobbiamo capire per rispondere davvero alle esigenze dei
nostri figli è che se siamo abituati ad accettare gli atteggiamenti di un
bambino che rientrano in parametri da A a B, rischiamo di non riuscire a
classificare e quindi trovare le emozioni che stanno dietro a comportamenti C o
D e pure fino alla Z.
Perciò
per rispondere alle esigenze dei figli bisogna cominciare a domandarsi…che
emozioni, che bisogni ci sono dietro a questo comportamento? Cosa non sono in
grado di vedere?
Resta
chiaro che bisogni ce ne sono sempre, ma a volte non serve andare tanto
lontano, sono soprattutto bisogni di essere visti come persone, di essere
nutriti dalla relazione affettiva, bisogni di corrispondenza, oltre ai normali
bisogni fisici.
E’
importante confrontarsi con altre persone, con altre mamme o con operatrici per
avere un riscontro di ciò che non riusciamo a vedere, del bambino che non
riusciamo più a riconoscere.
Magari
perché nessuno ci ha mai insegnato che un bambino può avere anche comportamenti
C o D ed essere accettato lo stesso, magari anche noi abbiamo avuto
comportamenti C o D e ci hanno insegnato che non eravamo accettabili.
Quante
volte ho sentito dire: “Piangi come una femminuccia!”, “Non fare il
pagliaccio”, “non essere illogico”, persino la frase “non sudare” nasconde una
non accettazione (a parte il fatto che mi risulta ancora incomprensibile come
faccia un bambino a tenere sotto controllo il suo sudore.)
Con
“accettare” non intendo lasciare che tutto passi senza dire ba, ma
l’accettazione passa attraverso il vedere il bambino che abbiamo di fronte e le
sue esigenze, il suo bisogno di crescere e di sapere che sebbene condividiamo
con lui che c’è stato uno sbaglio, sebbene concordiamo con lui un modo per
risolvere le conseguenze dello sbaglio, staremo al suo fianco e lo ameremo
ancora perché sappiamo che l’errore fa parte della vita.
“Accettare”
vuol dire vedere davvero il bambino che abbiamo di fronte, andare oltre le
definizioni di “pagliaccio”, “distratto”, “musone”, “lamentoso”.
Vuol
dire anche arrendersi alle aspettative che ci portiamo dietro di avere un
figlio con determinate caratteristiche.
La
legge di Murphy per le mamme recita che desiderare un certo comportamento per
il proprio figlio porta solo ad avere il comportamento contrario.
In
realtà non so se smettere di desiderare porti ad avere l’atteggiamento che
vogliamo, ma sicuramente ci darà la possibilità di scoprire atteggiamenti in
nostro figlio che non avevamo notato, e chissà forse ci sembreranno persino
meglio dell’atteggiamento a cui ci siamo rassegnate.
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Non ho molto da aggiungere alle parole di Emanuela, se non per invitarvi
a vedere questo video su EFT per rispondere alle esigenze dei figli:
e a leggere il nostro libro di recente e fresca stampa, MamMa o non MAmma ...
E' un libro che unisce il sapere delle doule a suggerimenti di tecniche energetiche per accompagnare il periodo di vita delle donne e di chi le circonda, da prima del concepimento ai primi 18 mesi di vita del bambino.
Perciò
se
siete mamme o volete diventarlo, se conoscete mamme in attesa o neo
mamme potete prenotare una copia. Il costo del libro è 15 euro a copia.
Se desiderate l’e book
invece lo potete ordinare in formato pdf a 8 euro.
Emanuela Pamio e Virna Trivellato